Qualche settimana addietro avevamo pubblicato un post su un dolce povero che è nella tradizione ferrarese da secoli: la MISTOCCHINA! Oggi vi propongo la ricetta la quale, provenendo da un periodo in cui si possedeva molto poco, questo semplice dolce era l’unico momento di gioia per tantissimi bambini, è molto semplice e facile da eseguire!
Natale è ormai alle porte. Basta fare una passeggiata per le vie del centro già illuminato o tra le bancarelle della Festa del Regalo in piazza Trento Trieste per farsi travolgere dallo spirito natalizio. E Natale ci fa riscoprire, oltre alla gioia di stare insieme, le gioie ben più consistenti della buona cucina. Consapevoli che ogni dieta è rimandata a gennaio, l’unica cosa da mettere a digiuno sono i sensi di colpa.
Una ricetta classica quella dei Tamplun (le frittelle di castagne); un dolce povero che, assieme alle sue cugine mistocchine, fa parte della tradizione ferrarese da generazioni. Da gustare proprio in quelle giornate autunnali piene di nebbia e fredde, per assaporare al meglio il folclore della nostra provincia.
Quando parliamo di street food, raramente ci vengono in mente le tradizioni delle nostre città. Eppure il “cibo da strada” accompagna le passeggiate nei centri storici da tempi immemori e nel passato era l’unica occasione per concedersi qualcosa di dolce. Delizioso e semplice, come solo una mistocchina può essere.
L’autunno ha sempre inondato le stradine medievali del centro di Ferrara con i suoi odori, tra cui inconfondibile quello delle castagne. E accanto ai caldarrostai, c’erano delle altre figure circondate da un profumo da acquolina in bocca e da bimbi deliziati: le mistocchinaie. Davanti alla loro piastra e alle file di mistocchine calde pronte da vendere.
Oggi se ne vedono di rado, ma riscoprire questo sapore ferrarese nella nostra cucina è davvero semplice. Per fare le mistocchine, infatti, basta della buona farina di castagne, del latte e dell’acqua e un pizzico di sale. Si mescola fino ad ottenere un impasto sodo, che si modella con le mani a forma di losanga o di ovale allungato. La schiacciatina così ottenuta viene cotta sulla piastra unta con dello strutto. A seconda dei gusti, la mistocchina si può aromatizzare con anice, mandorla o alchermes oppure la si può servire con composte o creme. Tuttavia, il sapore della mistocchina mangiato per strada in un pungente pomeriggio di fine novembre è inimitabile e purtroppo quasi dimenticato.
Per una persona nata e cresciuta in un piccolo paese di campagna, poter risalire alla storia delle sue origini e vedere quanto gli anni hanno cambiato il territorio, dove ha sempre girato sin da ragazzino, è un’onore che non ha prezzo. Per me, nato e cresciuto a Mirabello, poter riscoprire tramite una semplice visita la storia del mio paese e vedere in prima persona oggetti che i miei bisnonni usavano quotidianamente è semplicemente stupendo.
Vi presento quindi il Museo della Civiltà Contadina – Rodolfo e Luigi Sessa di Mirabello.
Ode alla polenta
È quasi terapeutico mescolare la polenta, quando fuori è freddo e la finestra della cucina si appanna con il vapore profumato che riempie l’aria. In una pentola, il giallo intenso della farina di mais che prende consistenza lentamente, nell’altra a sobbollire il sughetto denso con il ragù di cinghiale. E i due sapori si gustano con l’olfatto prima ancora di metterli insieme nel piatto. Queste “sono le nozze del giorno” per prendere in prestito le parole di un poeta. Ma queste nozze durano un giorno perché la polenta ha l’anima traditrice e il giorno dopo, con altrettanta passione, cambia volto e sposo. E ce la ritroviamo nel piatto, abbrustolita e accompagnata da funghi. E ogni volta si diverte (e ci divertiamo) a scoprire nuove affinità con compagni di piatto diversi. Ogni volta ci si diverte a proporla in tavola in modi diversi, seguendo le tradizioni o creandone di nuove.
Volendo attingere dalla tradizione, a ben vedere, abbiamo secoli e secoli di pasti, consumati dai greci, dai romani e dagli etruschi, a cui ispirarci. Quando la polenta era “pulmentus” e veniva fatta con il farro o il miglio. Il mais, arrivato dopo secoli dalle Americhe, conquista il primato e la polenta di mais conquista le tavole del nord d’Italia, dove il mais viene coltivato. Da pane dei poveri e unica fonte di sostentamento in periodo di carestie e guerre, oggi viene arricchita con condimenti di ogni tipo. Nei prossimi due weekend (dal 7 al 16 novembre), la sagra della polenta a Cento potrebbe essere l’occasione adatta per gustare quelli tradizionali del nostro territorio.
Il topino di Ognissanti di Comacchio
Ricordi e superstizioni si mantengono vive anche attraverso il cibo. E spesso le tradizioni culinarie nascono da eventi particolari o sono legate a particolari ricorrenze. E visto che il giorno di Ognissanti e il giorno dei morti sono alle porte come non parlare dei Topini di Ognissanti? I “Pùnghèn Cmàscìaìs ad Sean Pièr” si preparano ogni anno a Comacchio.
Ricetta torta di riso
Utilizziamo il riso, fantastico prodotto delle Terre ferraresi, per creare una gustosa Torta di Riso! Una ricetta semplice e veloce da eseguire.
Ferrara, città… magica
Lo sappiamo bene: Ferrara è una città magica. Nel mese di Novembre, però, lo è letteralmente. Ottobre volge ormai al termine e il Novembre Magico è alle porte. E non ha niente a che vedere con gli strascichi di Halloween. Non ha a che vedere con la magia di una passeggiata indietro nel tempo quando in centro c’è una rievocazione storica.
Ogni volta che qualcuno nel mondo dice che tortellini e cappelletti sono la stessa cosa, un ferrarese muore dentro. Dopo esserci ripresi con un piatto di caplit in brodo, è d’obbligo spiegare le caratteristiche che distinguono i cappelletti dai tortellini.
L’origine
Se i tortellini se li contendono tra Bologna e Modena, i cappelletti vengono contesi da tutta la Romagna. Importati nella nostra Ferrara da tempi immemori, i cappelletti vengono personalizzati secondo i gusti ferraresi, diventando il piatto protagonista del pranzo di Natale.
La dimensione
L’ombelico di Venere ha ispirato i tortellini, che vengono chiusi intorno a mignoli esperti e sono piccoli. Forse la Venere che ha ispirato i cappelletti era più in carne, fatto sta che i cappelletti sono leggermente più grandi dei tortellini, tanto da essere definiti anche “tortellini grassi”. Noi preferiamo chiamarli caplit.
Il ripieno
In realtà non serve consultare libri di storia di cucina oppure sedersi a tavola muniti di righello, per capire la differenza tra cappelletto e tortellino. Basta assaggiarli. Il tortellino, nella tradizione bolognese, ha un ripieno di lonza di maiale, prosciutto crudo e mortadella, che varia da famiglia a famiglia. Anche il ripieno del cappelletto, il “batù”, viene tramandato da nonna a nipote ed è composto da carne di maiale, pollo e vitello, ma anche salame e guanciale. Tutto un altro impasto! Vi va di svelarci i segreti dei vostri cappelletti di famiglia?