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Ode alla polenta

È quasi terapeutico mescolare la polenta, quando fuori è freddo e la finestra della cucina si appanna con il vapore profumato che riempie l’aria. In una pentola, il giallo intenso della farina di mais che prende consistenza lentamente, nell’altra a sobbollire il sughetto denso con il ragù di cinghiale. E i due sapori si gustano con l’olfatto prima ancora di metterli insieme nel piatto. Queste “sono le nozze del giorno” per prendere in prestito le parole di un poeta. Ma queste nozze durano un giorno perché la polenta ha l’anima traditrice e il giorno dopo, con altrettanta passione, cambia volto e sposo. E ce la ritroviamo nel piatto, abbrustolita e accompagnata da funghi. E ogni volta si diverte (e ci divertiamo) a scoprire nuove affinità con compagni di piatto diversi. Ogni volta ci si diverte a proporla in tavola in modi diversi, seguendo le tradizioni o creandone di nuove.

Volendo attingere dalla tradizione, a ben vedere, abbiamo secoli e secoli di pasti, consumati dai greci, dai romani e dagli etruschi, a cui ispirarci. Quando la polenta era “pulmentus” e veniva fatta con il farro o il miglio. Il mais, arrivato dopo secoli dalle Americhe, conquista il primato e la polenta di mais conquista le tavole del nord d’Italia, dove il mais viene coltivato. Da pane dei poveri e unica fonte di sostentamento in periodo di carestie e guerre, oggi viene arricchita con condimenti di ogni tipo. Nei prossimi due weekend (dal 7 al 16 novembre), la sagra della polenta a Cento potrebbe essere l’occasione adatta per gustare quelli tradizionali del nostro territorio.

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