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Visita al Mulino del Po

Fino agli anni 40, ormeggiati sulle rive del Po si potevano vedere i mulini fluviali. Proprio come il San Michele e il Paneperso descritti da Bacchelli nel “Mulino del Po”, queste piattaforme galleggianti sfruttavano le correnti del fiume per macinare grano e mais. Nel Po se ne contavano 266 (questo secondo il registro della Commissione della Navigazione Interna nella Valle del Po), poi pian piano furono dismessi e sparirono.

Leggere il romanzo di Bacchelli ci permette di mantenere viva la memoria dei tempi che furono, ma alle volte la lettura non è sufficiente, soprattutto quando abbiamo la possibilità di immergerci totalmente nell’ambiente raccontato e di visitare la ricostruzione di un antico mulino galleggiante. Questo è possibile partecipando ad una delle escursione in barca (e bici) che ci portano nel comune di Ro. L’antico borgo, da sempre dedito alla produzione di cereali, sorge sulla sponda destra del Po. Ed è qui che è stato ricreato il “Mulino del Po”, per celebrare la memoria del luogo e per dare nuovo impulso alla vocazione turistica del territorio.

Realizzato secondo le tecniche costruttive e con i materiali di allora, il mulino è perfettamente funzionante e ospita il Museo del Pane. Proprio durante la visita al museo si potrà vedere la grande ruota in funzione, dedita a macinare il grano coltivato nel territorio. E la visita non può che concludersi al punto di ristoro, dove insieme alla coppia ferrarese si possono gustare i sapori tipici della nostra terra. Non perdetevi questa ghiotta (nel vero senso della parola) occasione per scoprire la provincia di Ferrara.

 

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Vongola di Goro: la perla del Delta del Po

“L’oro di Goro” non è esposto nelle vetrine delle gioiellerie, non è chiuso in casseforti né indossato dalle donne. L’oro di Goro è custodito da due valve, non costa molta e dà il meglio di sé in un semplice piatto di pasta. Stiamo parlando ovviamente della Vongola di Goro, altro delizioso frutto del Parco del Delta, che è in attesa della definizione IGP. Ed è proprio merito della particolarità del territorio se l’allevamento delle vongole ha fatto la fortuna di questo antico borgo di pescatori (anche se sarebbe meglio di parlare di acquacoltori).

Sebbene questa trasformazione da pescatori ad acquacoltori risalga agli anni 80, la Sacca di Goro è l’habitat ideale per l’allevamento di molluschi. “Una lingua di sabbia che diventa subito l’indiscusso palcoscenico di una natura selvaggia e incontaminata, dove piante come tamerici e salicornie incrociano i voli degli uccelli selvatici”, come si legge nel sito del Consorzio di pescatori di Goro. Oltre al fondale sabbioso, quest’area riceve acqua salata dal mare, tramite le maree, ed acqua dolce dal Po di Goro (tramite la chiusa di Gorino), dal Po di Volano e dal Canal Bianco. L’incontro tra le acque salate e quelle dolci crea un ambiente unico in cui allevare i frutti di mare. E tra questi frutti, le vongole rappresentano una specialità che merita di essere annoverate tra le 17 perle gastronomiche del ferrarese e che è in fase di approvazione finale per avere il marchio IGP.

Voi come gustate questa prelibatezza ferrarese? Scrivetecelo nei commenti.

 

Fonte foto: http://www.copego.it

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Ad Argenta per celebrare i Lòm a Mêrz

Febbraio sta per terminare e Marzo, con il suo arrivo, segna l’arrivo imminente della primavera ma anche quell’incertezza delle condizioni meteorologiche, che da sempre caratterizza il mese “pazzerello”. È questo preoccupa soprattutto i contadini, che al tempo legano il frutto delle loro fatiche. Da sempre è così. E da sempre, preghiere, canti e riti propiziatori, accompagnano i momenti salienti della vita contadina per scongiurare la malasorte e assicurarsi un’annata favorevole.

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Dalla cucina del Messisbugo: torta d’erbe alla Ferrarese o alla romagnola

Piglia una brancata di bieta ben lavata, e trita molto bene, e ponila in un vaso con povine quattro fresche e quattro bicchieri di latta, et uova otto e libre dui di formaggio grasso e una libra di butiro fresco et un quarto di peucre pisto, et incorpora bene ogni cosa insieme, e onta la patella con oncie tre di butiro fresco li porrai sopra la prima sfoglia, e poi sopra la compositione sopradetta, e distendila bene sopra la sfoglia poi, haverai libra meza di Formaggio tomino ben grasso fatto in fettine quanto li puo sottili, e li distenderai sopra detta compositione, e li porrai poi sopra l’altra sfoglia facendoli l’ordello intorno, poi li porrai sopra libra meza di butiro fresco disfatto, e la porrai a cuocere, e quando serà quasi cotta li porrai sopra oncie quattro di Zuccaro, poi la finirai di cuocere

Mangiate come piatto unico, servite in ricchi buffet o preparate per pic-nic all’aperto, le torte salate sono una pietanza immancabile in ogni ricettario di famiglia. Spesso basta avere un rotolo di pasta sfoglia pronto in frigo per sfornare tante delizie diverse, con gli ingredienti più disparati. Se invece la vostra ricetta non è frutto dell’improvvisazione allora avete l’imbarazzo della scelta: a partire dalla base. Pasta sfoglia, pasta brisè, ma anche pasta fillo e pasta pane: sono molti gli impasti che si prestano a essere farciti per deliziare i nostri palati. Per togliervi dall’imbarazzo di scegliere cosa preparare, vi proponiamo una ricetta antica eppur attualissima: quella della torte d’erbe alla ferrarese, tratta dal Libro Novo di Cristorforo da Messisbugo.

Partiamo dalla sfoglia o meglio dalla “pasta comune a ogni torta a due sfoglie”, per la quale Messisbugo impastava una libbra e mezzo di farina (circa 450 grammi) con due tuorli d’uovo e due once di burro (60 grammi) e acqua. Per un tocco di colore, all’impasto si aggiunge un pizzico di zafferano. Messisbugo alla ricetta aggiunge anche zucchero (due once) e acqua di rosa, ma noi possiamo anche farne a meno. Una volta lasciata la sfoglia a riposare, passiamo al ripieno. Nella ricetta originale si trita bene un mazzo di biete lessate e si uniscono a quattro ricottine fresche e quattro bicchieri di latte, otto uova e 600 gr di formaggio grasso, 300 gr di burro fuso, sale e pepe. In quei tempi non si prestava molta attenzione al colesterolo evidentemente, ma noi possiamo regolare le quantità di ricotta, di formaggio e di burro a seconda della consistenza dell’impasto. Per lo stesso motivo, se abbiamo la carta forno possiamo evitare di ungere la teglia con il burro. Poniamo la sfoglia nella teglia, riempiamo con il composto di bietola e ricotta, sopra di essa mettiamo delle fettine sottili di formaggio tomino ben grasso e, infine, richiudiamo con un altro strato di sfoglia. Il burro sciolto non manca neppure sull’ultimo strato di sfoglia e, per non farsi mancare nulla, a cottura quasi ultimata Messisbugo ci aggiunge anche dello zucchero. In questo modo, si avrà una lucidatura di caramello e quel gusto dolce e salato insieme tipico della cucina rinascimentale.

Provate a riprodurre la ricetta originale della torta d’erbe alla ferrarese di Cristoforo da Messisbugo e fateci sapere come è andata!

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I dolci del carnevale ferrarese

Con il carnevale ci prepariamo al digiuno della Quaresima, periodo in cui secondo la tradizione cristiana, ci si astiene dal consumo di carne. E lo facciamo alla grande. Nonostante l’origine del termine (“carnem levare” ossia eliminare la carne), infatti, il carnevale era un periodo di eccessi, in cui tutti, col viso coperto da maschere, potevano dedicarsi ai festeggiamenti più sfrenati. Oggi questa follia, che in passato era l’unica valvola di sfogo del popolo, si è moderata e di godereccio ed eccessivo rimangono solo gli sfizi che ci concediamo in cucina.

Tutti i dolci per il carnevale, quelli ferraresi ma non solo, hanno in comune un ingrediente: l’olio per friggere. Dai Krapfen altoatesini alle Teste di Turco siciliane, in tutta Italia a carnevale si frigge e si spolvera zucchero a velo come se non ci fosse un domani. A Ferrara non siamo da meno. Ecco quali dolci si preparano per i nostri Carnevali Ferraresi.

L’evergreen delle tavole carnevalesche è cucinato, o meglio fritto, in tutta Italia con nomi diversi: i crostoli a Ferrara e in Veneto; nel sud diventano le chiacchere; le bugie in Liguria e le sfrappole a Bologna. Con qualunque nome le conosciate non c’è carnevale senza costoli.

Dobbiamo ringraziare i biondi ricci di Lucrezia Borgia non solo per le tagliatelle, ma anche per le tagliatelle fritte. Se da sempre la pasta all’uovo è un vanto dell’Emilia Romagna, quando la si frigge il risultato non può che essere una gioia per il palato.

Emiliani per vocazione, anche i tortelli a Carnevale finiscono nell’olio bollente e vengono trasformati in dolci bontà, ripiene di crema, di marmellata o di mostarda a seconda dei gusti.

Come le ciliegie, i lupini sono delizie da mangiare finché nel piatto non resta altro che l’ombra dello zucchero a velo. Uno tira l’altro. Un po’ come tutti i dolci che caratterizzano questo fantastico periodo dell’anno, in cui ogni dieta è bandita.

Voi quale preferite?

 

Fonte foto: https://www.flickr.com/photos/chefpercaso/6882082073

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Carnevali Ferraresi

È tempo di scherzi; di maschere; di coriandoli; di dolci. In una parola, è tempo di carnevale. Come sempre, si rinnova l’appuntamento con la festa più divertente e spensierata dell’anno e ogni città d’Italia ha le sue tradizioni e i suoi diversi modi per festeggiare. Nella provincia di Ferrara, sono tanti i centri cittadini che nelle prossime domeniche si animeranno di carri allegorici e di colorate mascherine. Voi dove festeggerete?

Nella piccola Rio de Janeiro

Dopo la pausa dello scorso anno, torna Cento Carnevale d’Europa, appuntamento imperdibile per gli amanti dello spirito carnascialesco. Dagli anni Novanta, il Carnevale di Cento è diventato una festa dal sapore internazionale grazie al gemellaggio con il famoso carnevale di Rio de Janeiro. I monumentali carri allegorici in cartapesta, costruiti dalle associazioni della città, sfilano per le vie del centro, preceduti da grandi gruppi mascherati e facendo, letteralmente, piovere sulla folla i doni del “gettito”. Ad aprire la sfilata la caratteristica maschera centese di “Tasi”, personaggio dell’800 vestito in frac e in compagnia di una volpe, pronto a preferire un bicchiere di lambrusco alla moglie. Come da tradizione, i festeggiamenti del Carnevale di Cento si concludono con il “rogo di Tasi” e con la proclamazione del carro vincitore.

Nella storica Ferrara

Elegante e unico, il Carnevale Rinascimentale di Ferrara permette di fare un salto indietro nel tempo. Banchetti in costume e cortei storici, ci riporteranno ai fasti della corte estense. E l’edizione di quest’anno avrà una madrina d’eccezione: Anna Sforza, il cui l’ingresso nella città di Ferrara verrà rievocato in un corteo storico che partirà da Palazzo Schifanoia nel giorno di San Valentino. Cortei, animazioni, balli in maschera, visite guidate… Sono tante le iniziative del nostro particolare carnevale rinascimentale, di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo post.

Sull’acqua a Comacchio

La piccola Venezia sorprende i suoi visitatori anche a Carnevale, quando i canali della città si colorano di vivacissimi carri allegorici. In realtà sarebbe meglio parlare di barche allegoriche, dal momento che i gruppi mascherati sfileranno lungo i canali a bordo delle loro coloratissime imbarcazioni. Anche la quarta edizione del Carnevale sull’acqua sarà densa di appuntamenti per grandi e piccini e sarà documentata attraverso le foto su instagram con hashtag #carnevalecomacchio2015, che parteciperanno al concorso organizzato dal Comune di Comacchio, dall’associazione culturale Voodoo e dagli IgersFerrara.

 

Fonte foto: https://www.facebook.com/CentoCarnevaledEuropa/photos/a.538046199561036.120879.153943264638000/538048739560782/?type=3&theater

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Zia Ferrarese: un incontro di sapori tipici

L’Emilia Romagna, si sa, è terra di salumi: basti pensare al Prosciutto di Parma, alla mortadella di Bologna o alla salama da sugo ferrarese, per capire che il nostro territorio eccelle nell’arte della trasformazione della carne di maiale. Nella provincia di Ferrara, questa tradizione ha avuto modo di incontrarsi con un’altra produzione tipica delle nostre zone, dando vita a uno dei matrimoni più felici della gastronomia: il salame all’aglio o “Zia ferrarese”.

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Caviale ferrarese: una ricetta tramandata nei secoli

Quintessenza della ricercatezza a tavola, il caviale è senz’altro uno degli alimenti più preziosi che potete servire ai vostri ospiti. E quando celebrerete qualcosa di importante sorseggiando champagne e degustando dei blini con caviale, ricordate che state mangiando qualcosa di molto vicino alla tradizione ferrarese.

Nel Cinquecento, infatti, gli storioni dall’Adriatico risalivano indisturbati il Po e nei banchetti alla corte estense venivano gustate le uova e la carne di questo meraviglioso pesce. Cristoforo da Messisbugo dà testimonianza della preparazione del “caviaro per mangiare, fresco, o per salvare”. E la ricetta del caviale ferrarese, che ha la particolarità di essere cotto, divenne quasi una leggenda, che scompare e riappare nel corso dei secoli. Ritorna nel 1900, in una bottega del ghetto ebraico di proprietà di Benvenuta “Nuta” Ascoli.

Scomparsa Nuta, a causa delle persecuzioni razziali durante la guerra, e scomparsi gli storioni dal Po, per l’inquinamento e la difficoltà a risalire la corrente, la ricetta si perde di nuovo e il caviale ferrarese torna ad essere una leggenda. Una storia, quella di Nuta, che ispira il romanzo di Michele Marziani, La signora del caviale, e che ispira anche le cuoche delle Occare, un agriturismo di Runco, che fanno di tutto per ritrovare la ricetta e far rivivere il caviale ferrarese. Secondo una ricetta tramandata nei secoli.

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Crema fritta: dolce e salato insieme

L’accostamento tra dolce e salato è un abbinamento che è nelle corde di noi ferraresi da sempre. Quell’azzardo che tanto piaceva alla corte estense ci è rimasto nel sangue, o sarebbe meglio dire nel palato, e ne sono prova tanti sapori della cucina tipica ferrarese.

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La zuppa inglese (o dovremmo dire ferrarese?)

A Ferrara quando si parla di dolci natalizi il primo che viene in mente è il panpepato. Ma la tradizione di dolci della nostra provincia non si limita a questo e, con Natale alle porte, questo non può che essere un bene! Il nostro rinascimento ci ha fatto dono di tanti piatti sublimi tra cui anche la zuppa inglese.